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DUECENTO


Dall’11 al 25 luglio 2024

Racconto delle opere che in questi duecento anni sono state fatte nel cimitero monumentale di Faenza, collegandoil cimitero di Faenza al Fontanonedove artisti contemporanei come Massimiliano Fabbri, Massimo Pulini, Lorenzo Scarpellini e Filippo Maestroni si confrontano con opere classiche del cimitero ed esposte in chiave contemporanea al Fontanone.

Fontanone con opera di Lorenzo Scarpellini sulla rotonda

In questo afoso luglio 2024, ci ritroviamo qui ad affrontare una mostra su due luoghi apparentemente distanti fra loro: il Fontanone e il Cimitero dell’Osservanza. Agli antipodi concettualmente parlando, ma legati da un uomo: Pietro Tomba, imparentati, poiché il nostro amato Fontanone fu progettato da lui e vide la sua nascita nel 1824, mentre la Chiesa del cimitero all’Osservanza ne ricevette l’ultimo restauro nel 1828, coetanei, che negli ultimi duecento anni hanno visto passare attraverso di essi gran parte del patrimonio
artistico di Faenza.
Due luoghi ai margini della città che hanno combattuto con le unghie e con i denti per sopravvivere agli insulti del tempo, guerre, abbandono, alluvioni, in particolare l’Osservanza che ne porta ancora addosso le cicatrici, custodendo silenziosamente questo patrimonio. Direi che un grande ringraziamento va alla sorte, la quale ci ha consegnato e conservato questi luoghi magici, e a chi se ne è preso cura nel tempo e a loro che hanno stretto i denti e sono ancora qua a darci la possibilità di godere di qualcosa di così bello. In occasione di questo “compleanno” abbiamo colto l’occasione per portarvi all’interno del palinsesto della “Prospettiva estiva per il Fontanone“ una mostra che mette a confronto artisti del contemporaneo con i maestri che negli ultimi duecento anni hanno reso unica la nostra città e decorato quell’importantissimo archivio umano che è l’Osservanza.
Massimo Pulini ci porta un tributo al tributo, il viso di Antonio Berti, grande maestro della
nostra Minardi ottocentesca, scolpito da Rambelli, effige affettuosamente voluta proprio
dai suoi allievi e riportata da Pulini come liquida e fantasmatica, una vera e propria lastra
anatomica del nostro passato, portando alla luce le ossa di una cultura estetica che
portiamo nel nostro DNA storico artistico.
Massimiliano Fabbri invece offre un omaggio a tutti i maestri passati dall’Osservanza,
creando una vera e propria foresta, nello stile di Liverani ma tramutata in una rigogliosa
vitalità blu ceramica faentina, al cui interno riaffiorano gli sguardi di questi artisti,
intrecciati di linee come rami aggrovigliati, caotici, vividi.
Una caratteristica del tempo è quella che ci permette di identificarlo bene solo una volta
che è passato, difficilmente è comprensibile al cento per cento nel momento in cui lo
viviamo, è come se fosse polvere che si sedimenta nella sua lenta e continua discesa,
diventando più nitida, netta e comprensibile nella sua forma solo dopo un lungo periodo,
così Franco Pozzi ci porta un lavoro su due figure del panorama novecentesco faentino,
Baccarini e Rambelli, “prendendoli in prestito” dice Pozzi, non solo per l’ammirazione nei
confronti del lavoro dei due artisti, ma anche per una passione legata a ciò che è stato,
qualcosa che così può vedere in maniera più definita, esattamente come la polvere di cui
sono composti i suoi disegni che pian piano vengo delineati proprio dallo scorrere del
tempo.
Maurizio Battaglia ci offre invece uno scorcio del suo lavoro e della sua fascinazione nei
confronti della morte e del tema della sepoltura nella cultura occidentale. La lapide diventa
feticcio e allo stesso tempo lo diventa anche la persona che la rappresenta, così Battaglia
crea sculture che dialogano con il passato della tradizione classica incastonata nel nostro
bagaglio culturale di italiani fatte di marmo, il materiale delle divinità e trasformandole
diventano semplicemente altro, un altro su cui riflettere.

Sulla rotonda invece troveremo l’opera in cui Lorenzo Scarpellini trae ispirazione dalla materia
della tomba di Lucio Fontana presente nel nostro cimitero, e ci porta verso un oltre del tempo, uno zoomorfismo post-antropico, proveniente da una creatura venuta da un possibile futuro, e come da tradizione dei Ballanti Graziani, utilizzando il medium della cartapesta, crea un’ipotetica testa proveniente da una bestia colossale simile ad una balena, animale che grazie ai sonar è capace di contattare i propri simili a grandi distanze e quindi la rende un simbolico vettore di messaggi, un radar che indica dritto all’Osservanza.
Infine per questa mostra che sentivo di dover portare da diversi anni come tributo ad un
passato così prezioso e che mi ha accompagnato negli anni della formazione, ho cercato di
instaurare un dialogo diretto con Domenico Baccarini, un compagno faentino, un affamato di
arte che ho sempre rispettato e il cui lavoro continua a brulicare e bruciare di vita ancora oggi.

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Sito Web: Enrico Pasi