Plasmando la Superficie

Plasmare, educare la materia, in un continuo scontro demiurgico, brutale e affettuoso, l’esperienza di un continuo sedimentarsi di superfici come gli strati della crosta terreste. Tre ricerche che abbracciano questo continuo accumulo, questo aggiungere; per velature, terre e carta macerata. E’ da tempo che speravo di creare questa collaborazione, con Alessandro Placci e Lorenzo Scarpellini, sentendo una forte affinità nel nostro lavoro, un lavoro fatto di ruvida materia, una affinità legata alla creazione dell’opera come un continuo assemblare, coprire, in uno scontro dato della leggerezza nella gioia del fare in contrapposizione al peso visivo e concettuale delle opere create, plasmate. Primitive barriere, gusci, anfore, superfici contenenti qualcosa di celato o appena visibile, nel dialogo di un contemporaneo, dove la “maschera” o la “persona” crea identità di superficie espresse unicamente attraverso l’esteriore, spesso ipocrita e senza viscerali fondamenta, vivi fantasmi impenetrabili, scocche sgargianti di auto senza un motore, mura personali innalzate forse a difesa di un mondo di difficile comprensione. Nelle opere presenti rivedo una critica: quella in cui lo sguardo verso l’altro è come un’improbabile assedio volto a fortezze arcaiche, le qui mura sono antiche come il tempo, ma che alla fine rispecchiano sempre e comunque quello che siamo, normalissimi esseri umani.